venerdì 14 gennaio 2022

Le reazioni del web alla parola "architetta"

 

Le professioniste: preferiamo mantenere il termine architetto oppure usare la parola “architettrice”, che non è affatto un neologismo ma ci identifica dal 1600. 


Certamente le parole sono importanti, ed è altresì importante come viene usata una data parola, e secondo le donne architetto non si può prescindere dal rendersene conto.

Il termine “architetta”, approvato recentemente dalla Crusca, declina correttamente la parola architetto, ma penalizza fortemente la professione svolta dalle donne. La parola infatti non di rado viene utilizzata per sminuire e deridere proprio il ruolo della donna che compie il lavoro di fare l’architettura, e di fatto amplifica la disuguaglianza rivelandosi a tutti gli effetti un vocabolo non utilizzabile ai fini dell’inclusione quanto piuttosto dell’offesa.
Le professioniste testimoniano che tali spiacevoli episodi accadono purtroppo frequentemente, come si può anche registrare sui social e malgrado le ottime intenzioni delle colleghe che intendono utilizzarlo.
Purtroppo il web si presta particolarmente a veicolare il pensiero morboso degli individui esaltandolo attraverso la scrittura e le immagini, e il risultato dello sdoganamento di questo vocabolo sono gruppi e pagine social che alludono a parti intime e commenti sessisti di una certa gravità.
La questione dunque non è solo grammaticale, ma ha a che fare anche con la suscettibilità di ciascuna donna: vi sono infatti professioniste determinate a rispondere a tono ad ogni insulto. Purtroppo però non tutte posseggono lo stesso carattere e la stessa “verve”. E in un luogo di lavoro prettamente maschile come quello di un cantiere ad esempio, dove una donna architetto deve impartire ordini a degli uomini, certamente non risulta molto edificante dover schivare giornalmente battute e allusioni di un certo tipo.

Le donne architetto quindi dichiarano di preferire la declinazione "Architettrice", che non è affatto un neologismo, ma esiste dal 1600A quei tempi infatti l'architetto era chiamato architettore, ed è storicamente accertato che la prima donna architetto della storia sia stata Plautilla Bricci, contemporanea romana di Bernini e Borromini. Dai documenti risulta che Plautilla usasse firmarsi “Jo Plautilla Briccia Architettrice[1].
In fondo c’è sempre l’eccezione alla regola, come accade ad esempio in ambito botanico. Nella lingua italiana infatti l’albero ha un nome maschile e il frutto un nome femminile: il pero (l’albero), la pera (il frutto); il melo (l’albero), la mela (il frutto); il pesco (l’albero), la pesca (il frutto). L’albero di fichi non segue la regola suddetta; infatti si dice il fico (l’albero) e il fico (il frutto); la fica al femminile ha il significato osceno che tutti conosciamo. La motivazione di questa eccezione risiede proprio nel fatto che la parola abbia evidenti rimandi volgari, e ciò ha fatto sì che per indicare il frutto si usasse il maschile. Da qui scaturisce la convinzione delle professioniste che sia più opportuno o mantenere l’utilizzo del maschile-non-marcato “Architetto” oppure ri-utilizzare la declinazione “Architettrice”.

L'architettura è una delle tre arti fondamentali insieme alla pittura e alla scultura. Dunque le donne che compiono l'architettura sono artiste, e gli artisti si sa trascendono le regole, comprese quelle grammaticali. E perché mai una donna dovrebbe incaponirsi nel declinare un termine maschile solo perché attuale, avendone ereditato già uno dal passato che funziona benissimoSoprattutto non bisognerebbe mai perdere di vista l'obbiettivo dell'introduzione della stessa declinazione, che è quello dell'avanzamento delle donne, e non certo quello dell'arretramento

Link al testo firmato dalle professioniste:
https://www.change.org/p/consiglio-nazionale-degli-architetti-non-chiamatemi-architetta

[1] Titolo: Plautilla Bricci. Pictura et Architectura Celebris. L'architettrice del barocco romano. Autrice: Consuelo Lollobrigida. Edizioni Gangemi 2017.

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